giovedì 23 aprile 2015

Sport: luci e ombre. (Tema svolto)


Come primo post “vero” ho deciso di pubblicare l’ultimo tema in classe che ho scritto, fresco fresco di correzione. E’ un tema di ordine generale di argomento “Sport: luci e ombre” che mi è stato assegnato al IV anno di liceo scientifico. La lunghezza è approssimativamente di 5 colonne (foglio protocollo) e il voto che mi è stato attribuito è stato 8,5 (complice l’impossibilità di ricopiare tutto il manoscritto in bella copia che ha leggermente svalutato il compito). Non sono stati segnati errori né grammaticali né di punteggiatura, sebbene l’insegnante mi abbia riferito che la composizione sarebbe potuta essere resa più scorrevole (mi piace inserire incisi per dare delle pause, sò gusti).
Prendetene spunto se ne avete bisogno o leggetelo se può farvi piacere!

TRACCIA:
Lo sport nella società contemporanea occupa un ruolo significativo, ma non sempre limpido. E’ ancora un mezzo valido di formazione alla fatica, alla collaborazione con gli altri, oppure l’aggressività, la competizione, il risultato a qualunque costo ne hanno stravolto inevitabilmente la fisionomia?
Analizza luci e ombre che circondano le attività sportive, a livello tanto amatoriale quanto professionale.

Lo sport e gli eventi sportivi scandiscono i tempi della nostra vita e scandiranno quella di chi verrà, partendo dall’ambito della pratica giornaliera, poiché chiunque ha naturalmente bisogno dell’attività fisica e, conseguentemente, di adattarla ai propri impegni, fino ad arrivare a quello della visione di eventi televisivi, che ormai rientrano di diritto nella categoria dello Show-Business. Questi ultimi, anche grazie alla loro teatralizzazione, sono il vero metronomo della nostra esistenza e punti di riferimento della nostra memoria. Almeno per quanto mi riguarda, faccio molta fatica a ricordare una data se prima non l’abbia ricollegata ricollegata al principale evento sportivo che l’ha caratterizzate: è tramite questo processo che il 2012 diventa l’anno delle Olimpiadi di Londra o quello della vittoria di Murray sul prato di Wimbledon, oppure come il 2014 rimanga impresso nella nomenclatura come l’anno del Mondiale brasiliano e del 7-1 della Germania sui padroni di casa. E, allo stesso modo delle date, è così che sovvengono tutti i ricordi, le canzoni, gli accaduti, le sensazioni inerenti al periodo della manifestazione di riferimento. Passa tutto da lì.
Ma questa smoderata spettacolarità e importanza data, sempre di più e giorno dopo giorno, ad ogni sport che abbia un bacino d’utenza sufficiente per sostenerne i costi è un bene o un male?
Quali sono i valori che noi amatori percepiamo realmente, il tanto sponsorizzato Fair Play o il “ vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” e la cattiveria che la fanno da padrone nell’agonismo? Quanto influiscono i professionisti su di noi e quanto noi su di loro?
Un concetto  fin troppo sottovalutato è quello che siamo noi spettatori i primi finanziatori degli sport alla quale assistiamo, perché più è alto l’interesse, più lievitano gli introiti, non solo per chi gestisce ma anche per società e atleti. Chiaramente questo accrescimento di pubblico comporta un aumento dei costi delle pay-tv che , a loro volta, vedono la fila degli sponsor allungarsi in maniera esponenziale. Ma chi compra gli spazi promozionali negli intervalli? Non sarà difficile  affermare che la quasi totalità degli eventi è letteralmente monopolizzata dalle società di scommesse, che vedono inevitabilmente incrementare i proventi maturati sulla falsa promessa della vincita facile. Il problema sarebbe già grave se ci si fermasse qui ma non proseguire la trattazione vorrebbe dire lasciare intoccato un problema moralmente ben più irritante. Infatti, la gravitazione di denaro intorno agli sport, oltre che all’interno (che rappresenta una problematica economica fin troppo complessa per poterne parlare brevemente), porta gli stessi professionisti delle categorie minori ad offrire uno spettacolo già scritto in partenza per poter lucrare sulle stesse scommesse, che diventano anche un espediente per il riciclaggio di denaro sporco da parte di chi pilota questa macchina di illeciti, che siano riferiti al calcio, al tennis o a qualsiasi altra manifestazione che preveda il gioco d’azzardo sul risultato finale o parziale. Questo non rende soltanto un’immagine di una cultura sportiva irrimediabilmente malata ma demolisce totalmente quello che forse è l’ideale più bello che essa fornisce, ovvero che, in partenza, tutti i partecipanti abbiano uguali possibilità di ottenere la vittoria. Ovviamente, quando il professionismo entra nelle nostre case 24 ore al giorno il dilettantismo ne subisce inevitabilmente l’influenza, positiva o negativa, a secondo di quello che i media mettono in risalto. E nell’era in cui fanno più notizia scenate, volgarità e capricci degli sportivi piuttosto che una stretta di mano fra avversari, è ineluttabile che, dalla tenera età, l’attività non agonistica diventi comunque pura competizione, molto meno sana di quanto si voglia pubblicizzare, sulla spinta dei genitori che spesso mettono irresponsabilmente sotto torchio i figli con la speranza di vedergli calcare i campi di calcio (o di qualsiasi altro sport che offra loro un posto sotto le luci della ribalta) più importanti.
E’ innegabile, in ogni caso, che fare di tutta l’erba un fascio spesso sia il modo più semplice di cadere in errore e che quindi si speri fortemente che tutti i valori che gli sport, specialmente di squadra, hanno sempre trasmesso, anche e soprattutto a livello amatoriale, per unire la gente non si perdano mai.
Anche perché, forse, un mondo in cui l’importante è non partecipare è un mondo in cui non vale la pena di vivere.


Fatemi sapere se condividete le mie idee o se le stesse vi sono state d’aiuto!

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