lunedì 18 gennaio 2016

Fenomenologia del Selfie

Per la rubrica #SociallyUnacceptable (con l’hashtag perché sennò non sei #cool) oggi vi parlo del Selfie, che poi non è altro che un comune autoscatto - o Self Portrait, se vogliamo fare quelli che fanno finta che ci capiscono e dicono brand al posto di marchio. Dopo aver brevemente dato una descrizione del Selfie dobbiamo andare oltre, sennò sarebbe la peggior rubrica della storia. 
Dove, come, quando e perché dovremmo fare un selfie? No. La risposta a tutto è no. Il Selfie non è bello. La Selfie ancora peggio. Il Selfie sembra così ingenuo e benevolo, coi suoi filtri color crema e gli #hashtagghini simpatici con cui cercate di nascondere il senso di vergogna, ma in realtà è terribile. Orrido, ripugnante. Se qualcuno vi dice che il Selfie mangia i bambini, credetegli.
Tuttavia, in fondo, siamo tutti un po’ viscidi dentro. Anch’io, cari lettori (“Non attendetevi che la filosofia per esser vera abbia bisogno della testimonianza del filosofo”, diceva Schopenhauer. Che poi in realtà non ne sono sicuro, dovrei fare filosofia in questo momento). Anch’io mi faccio le #Fotine. Ma non più di una volta ogni uno-due mesi: e così dovreste fare anche voi, mannaggia! E non ditemi che non vi sentite dei vermi quando, in mezzo alla strada, vi sparate un Selfie di sfuggita con l’amichetto/a, perché è palese che, un decimo di secondo dopo che la foto sia stata scattata, quando vi ritirate a vita privata a capo chino sul vostro Smartphone (perché a noi ci piace il Brand) state facendo finta di scrivere un messaggio per tentare goffamente di seppellire il senso di marcio. La gente sa. Però, l’ho detto, siamo tutti umani (o bestie, fate voi) e quindi qualche volta potrei giudicarvi poco - e con me la società tutta -, nonché cadere in terribili tentazioni. Ci sono, per l’appunto, delle situazioni in cui Gesù bambino vi perdona e voi potete addirittura pensare di #instagrammare a cuor leggero, e sono 4*: i Selfie con i VIPz, quelli con persone che vedi non più di una volta all’anno, quelli autoironici e quelli post-barbiere/parrucchiere. Dei primi due c’è poco da dire, uno è uno sbandamento temporaneo causato dal sopraggiungere di un’emozione anomala e l’altro è una grande concessione da parte mia (sì, anch’io ho un cuore); mi concentrerei di più sui rimanenti. Il Selfie autoironico forse è quello più socialmente accettabile: una foto simpatica, in cui non ci si atteggia a modello di pubblicità dei profumi, si può fare. Qualche volta.
L’ultimo caso, quello dell’#haircut, è il più maledetto di tutti, specialmente per me. Vedete, io sono una persona male istruita: non so impugnare un pettine, non so usare un gel, cera o qualsiasi nuovo smartprodottipercapellichetantoneinventantounoalminuto. Ciò comporta la mia dipendenza dai cappelli e, più importante, apparire, quando sprovvisto di questi ultimi, più o meno come Morgan, il cocainomane che grida in Tv (non Sgarbi, fate attenzione). Il momento del #New #Hairstyle #Fascion ha un che di catartico, anche se il tuo barbiere non è comunque capace di farti sembrare una persona decente, perché in qualsiasi altro giorno dell'anno sembri il risultato di una notte di passione fra un cespuglio e il cantante dei Dari (foto di repertorio). E allora accade. E dobbiamo prendercelo. Dobbiamo prendercelo sapendo che fra qualche anno anche mostra mamma si iscriverà su Instagram e ci diserederà appena capiterà sul nostro profilo. Dobbiamo prendercelo, il Selfie, consci che passeremo un'altra nottata insonne. Sognando ad occhi aperti, parliamoci chiaro, di alzarci la mattina seguente con una manciata di neuroni in meno e iniziare a spararci Selfie perché chissenefrega, tanto da far sì che ci chiami Zuckerberg per dirci di smetterla, ché il suo computer a forza di appesantirsi con le tue #fotine non cammina più.



*Nessuna delle categorie sopraelencate mantiene la sua validità se la foto è stata scattata con l’ausilio di un bastone da Selfie (che in Francia chiamano Baguette per i selfie, a titolo informativo).

giovedì 23 aprile 2015

Sport: luci e ombre. (Tema svolto)


Come primo post “vero” ho deciso di pubblicare l’ultimo tema in classe che ho scritto, fresco fresco di correzione. E’ un tema di ordine generale di argomento “Sport: luci e ombre” che mi è stato assegnato al IV anno di liceo scientifico. La lunghezza è approssimativamente di 5 colonne (foglio protocollo) e il voto che mi è stato attribuito è stato 8,5 (complice l’impossibilità di ricopiare tutto il manoscritto in bella copia che ha leggermente svalutato il compito). Non sono stati segnati errori né grammaticali né di punteggiatura, sebbene l’insegnante mi abbia riferito che la composizione sarebbe potuta essere resa più scorrevole (mi piace inserire incisi per dare delle pause, sò gusti).
Prendetene spunto se ne avete bisogno o leggetelo se può farvi piacere!

TRACCIA:
Lo sport nella società contemporanea occupa un ruolo significativo, ma non sempre limpido. E’ ancora un mezzo valido di formazione alla fatica, alla collaborazione con gli altri, oppure l’aggressività, la competizione, il risultato a qualunque costo ne hanno stravolto inevitabilmente la fisionomia?
Analizza luci e ombre che circondano le attività sportive, a livello tanto amatoriale quanto professionale.

Lo sport e gli eventi sportivi scandiscono i tempi della nostra vita e scandiranno quella di chi verrà, partendo dall’ambito della pratica giornaliera, poiché chiunque ha naturalmente bisogno dell’attività fisica e, conseguentemente, di adattarla ai propri impegni, fino ad arrivare a quello della visione di eventi televisivi, che ormai rientrano di diritto nella categoria dello Show-Business. Questi ultimi, anche grazie alla loro teatralizzazione, sono il vero metronomo della nostra esistenza e punti di riferimento della nostra memoria. Almeno per quanto mi riguarda, faccio molta fatica a ricordare una data se prima non l’abbia ricollegata ricollegata al principale evento sportivo che l’ha caratterizzate: è tramite questo processo che il 2012 diventa l’anno delle Olimpiadi di Londra o quello della vittoria di Murray sul prato di Wimbledon, oppure come il 2014 rimanga impresso nella nomenclatura come l’anno del Mondiale brasiliano e del 7-1 della Germania sui padroni di casa. E, allo stesso modo delle date, è così che sovvengono tutti i ricordi, le canzoni, gli accaduti, le sensazioni inerenti al periodo della manifestazione di riferimento. Passa tutto da lì.
Ma questa smoderata spettacolarità e importanza data, sempre di più e giorno dopo giorno, ad ogni sport che abbia un bacino d’utenza sufficiente per sostenerne i costi è un bene o un male?
Quali sono i valori che noi amatori percepiamo realmente, il tanto sponsorizzato Fair Play o il “ vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” e la cattiveria che la fanno da padrone nell’agonismo? Quanto influiscono i professionisti su di noi e quanto noi su di loro?
Un concetto  fin troppo sottovalutato è quello che siamo noi spettatori i primi finanziatori degli sport alla quale assistiamo, perché più è alto l’interesse, più lievitano gli introiti, non solo per chi gestisce ma anche per società e atleti. Chiaramente questo accrescimento di pubblico comporta un aumento dei costi delle pay-tv che , a loro volta, vedono la fila degli sponsor allungarsi in maniera esponenziale. Ma chi compra gli spazi promozionali negli intervalli? Non sarà difficile  affermare che la quasi totalità degli eventi è letteralmente monopolizzata dalle società di scommesse, che vedono inevitabilmente incrementare i proventi maturati sulla falsa promessa della vincita facile. Il problema sarebbe già grave se ci si fermasse qui ma non proseguire la trattazione vorrebbe dire lasciare intoccato un problema moralmente ben più irritante. Infatti, la gravitazione di denaro intorno agli sport, oltre che all’interno (che rappresenta una problematica economica fin troppo complessa per poterne parlare brevemente), porta gli stessi professionisti delle categorie minori ad offrire uno spettacolo già scritto in partenza per poter lucrare sulle stesse scommesse, che diventano anche un espediente per il riciclaggio di denaro sporco da parte di chi pilota questa macchina di illeciti, che siano riferiti al calcio, al tennis o a qualsiasi altra manifestazione che preveda il gioco d’azzardo sul risultato finale o parziale. Questo non rende soltanto un’immagine di una cultura sportiva irrimediabilmente malata ma demolisce totalmente quello che forse è l’ideale più bello che essa fornisce, ovvero che, in partenza, tutti i partecipanti abbiano uguali possibilità di ottenere la vittoria. Ovviamente, quando il professionismo entra nelle nostre case 24 ore al giorno il dilettantismo ne subisce inevitabilmente l’influenza, positiva o negativa, a secondo di quello che i media mettono in risalto. E nell’era in cui fanno più notizia scenate, volgarità e capricci degli sportivi piuttosto che una stretta di mano fra avversari, è ineluttabile che, dalla tenera età, l’attività non agonistica diventi comunque pura competizione, molto meno sana di quanto si voglia pubblicizzare, sulla spinta dei genitori che spesso mettono irresponsabilmente sotto torchio i figli con la speranza di vedergli calcare i campi di calcio (o di qualsiasi altro sport che offra loro un posto sotto le luci della ribalta) più importanti.
E’ innegabile, in ogni caso, che fare di tutta l’erba un fascio spesso sia il modo più semplice di cadere in errore e che quindi si speri fortemente che tutti i valori che gli sport, specialmente di squadra, hanno sempre trasmesso, anche e soprattutto a livello amatoriale, per unire la gente non si perdano mai.
Anche perché, forse, un mondo in cui l’importante è non partecipare è un mondo in cui non vale la pena di vivere.


Fatemi sapere se condividete le mie idee o se le stesse vi sono state d’aiuto!

mercoledì 22 aprile 2015

Nessuno lo aspettava, nessuno lo voleva, nessuno ne sentiva il bisogno: ecco "Io non lo leggerei"!


Ci siamo, questo è il primo post.
Devi dare il tuo meglio, Antonio, questa è la tua grande possibilità per farti amare dall'internet. Qui ti giochi tutto. Il momento è adesso, se sbagli qui hai fallito. Una battutina, un'esposizione chiara e semplice delle tue idee da innovatore, qualche frase straripante di retorica come un vaso sotto un temporale e li avrai conquistati. Non sarai un blogger, sarai IL blogger.


E qui viene il bello: se vi steste chiedendo "Ma che diavolo ci faccio qui?", io non saprei proprio come rispondervi. Però potrei dirvi cosa ci faccia io qui, sebbene rimanga comunque una grossa impresa. In primis, mi presento: sono Antonio, come avreste potuto evincere dalle parole della mia voce interiore, studio e spero di poter intraprendere la carriera di giornalista sportivo in un futuro neanche così lontano (a tal proposito, scrivo di calcio su Calcioapallate.blogspot.com).
Se sono qui è perché scrivere mi diverte molto, ma trovare il tempo per farlo non è mai così semplice e, se vi aggiungiamo il fatto che un qualsiasi manoscritto resterebbe unicamente a me stesso nell'attesa di essere cestinato nella foga di ripulire il costante disordine sulla mia scrivania, pubblicare qualcosa su internet, e quindi rendendola fruibile a chiunque, darebbe almeno un barlume di senso a ciò che compongo, per quanto questo possa eventualmente essere inconcludente o privo di alcun filo logico.
Quindi, riassumiamo: Antonio vuole farvi leggere qualcosa. E fino ad adesso ci siamo. Ma cosa esattamente? Ebbene, io non ne ho la benché minima idea. Scriverò tutto quello che mi passa per la testa, senza un tema che faccia da minimo comun denominatore. L'unica certezza che campeggia in questo blog come tutti gli altri ma diverso da tutti gli altri è che non si parlerà di make up.
Quindi, godetevi Io non lo leggerei, un blog non sul make up!

- Allora, com'è andata?
- Antò, va bene che vuoi fare di testa tua, ma questa presentazione era proprio una m...